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HULK
(HULK)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 15 settembre 2003
 
di Ang Lee, con Eric Bana, Nick Nolte, Jennifer Connelly, Sam Elliott (Stati Uniti, 2003)
 
No, non è l'ennesimo supereroe dei fumetti (i Marvel degli anni 60) del quale lo schermo non sentiva nessuna mancanza. Certo, per tutta la prima mezz'ora la genesi, col solito scienziato pazzo che sciaguratamente scombussola il DNA dell'erede inoculandosi l'altrettanto abituale fotogenico intruglio di bollicine verdi, non è che si svolga a meraviglia. La progressione drammatica sussulta, le sempre raffinate immagini del regista di Taiwan si perdono in un uso esasperante dello split screen (d'accordo, ad immagine del taglio delle pagine dei fumetti), l'encomiabile intento (in una grossa produzione del genere) di entrare nell'intimo dei personaggi s'ingarbuglia in una banalizzazione tipicamente hollywoodiana sulle motivazioni psicanalitiche dei personaggi.

Succede però che il buon gigante verde, una volta conclusa la malaugurata mutazione genetica, si ritrovi con un corpo di sei metri e relativi poteri sovrumani: immediatamente assediato da terrificanti mastini pure loro metabolizzati a dismisura, l'intera armata USA di carri armati, elicotteri e caccia supersonici a braccarlo senza pietà in un liberatorio deserto dove il poveretto tentava di rifiatare. E succede sopratutto che Ang Lee si ricordi di essere l'autore di LA TIGRE E IL DRAGONE: proprio quando si poteva temere che le digitalizzazioni sempre più mirabili della Light and Magic di George Lucas finissero per normalizzare del tutto il film. Si pensava a Mr. Hyde, a King Kong, alla Bella e alla Bestia, a Frankenstein; ma ora che il mostro sprigiona la sua magica energia fra le dune straordinariamente luminose, o si aggrappa ai jet per perdersi quasi metafisicamente ai limiti delle galassie è alla creatività fiabesca che ci si affida. All'intuito del magico manipolatore di sinergie dinamiche, del poeta che si è nutrito anche di kung-fu, di altre culture. Finisce la fatica della scienza spiegata al popolo; e si spalanca la felicità della fantasia.

Comprendiamo finalmente perché quello di HULK è stato l'ultimo dei personaggi rubati dal cinema ai fumetti: perché il più complesso, il più umano, e non solo per via di una sorprendente mimica facciale realista sopra un corpo mostruoso. Ma in quanto vittima di quelle contraddizioni che sono proprie della natura umana, sempre meno padrone del proprio destino, costretto ad attaccare, ad abbandonarsi all'istinto. Consapevole della propria rivolta nei confronti di una tecnologia degenerata, dell'eterna violenza di chi detiene il potere; ma non manicheisticamente paladino nella lotta di comodo fra il bene e il male. Obbligato, infine, immerso in chiaroscuri shakespiriani, a quel confronto padre/figlio che si sta affermando come uno dei grandi temi del cinema più recente; in una invocazione alla comprensione del diverso che non è priva di commozione né tanto meno di significato.


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